#5. (su un confine sottile di fallimenti)

a volte, all’improvviso, annunciato forse da uno scricchiolio interiore che tendiamo a confondere con la solita gastrite o la stanchezza che ci resta attaccata alle ossa, alle vene, la costruzione illusoria di fiducia nel senso di quello che si sta facendo, mentre lo si sta facendo, semplicemente, schianta giù, addosso dentro dove gli organi sono molli e i nervi sempre sensibili, tirati all’agitazione. il mio sistema interno di controllo che satura, resta questa demolizione periodica, questa vacuità che fissa lo sguardo sul bianco del muro di fronte, accanto alle librerie dove i volumi, stipati, sembrano premere per uscire. resta solo in cuffia il susseguirsi di ritmi elettronici disarticolati che mi dicono che il tempo continua a essere percepito ancora e sempre in una sola direzione. e qui arriva il sentirsi in ritardo sul proprio tempo, sulla fatica del proprio lavoro, sulle conclusioni a cui si ha l’impressione di arrivare, già arrivate, da altri, prima, meglio. eppure questo schiantarsi del senso del proprio fare dà una forma di lucidità disinteressata, di “disperazione divertita” che non può che spingere ad andare avanti, nonostante tutto, in faccia a tutto: “vi preoccupate delle mail, arrivano i demoni.”