#37. (del fango che si trasforma in pensiero e il pensiero in fango)

l’autunninverno mi sta precipitando addosso, nonostante il caldo stralunato e alluvionale, in una pianura padana sempre più tossica di auto industrie cemento banalità, centro produttivo fulcro (embl)ematico cancerogeno di un paese che ha fatto dell’anossia la sua condizione permanente. è il produciconsumacrepa del capitalocene (recitava uno striscione in manifestazione, di recente), neanche il fango che travolge riconnette a una realtà che sfugge, smartphonicamente, dati inutili in discariche digitali, disintelligenze che artificiosamente ci rubano anche l’approssimazione più (in)decente: il linguaggio che già depassava l’homo sapiente diventa un abbaglio macchinico che processa frammenti di lessico, incurante al senso, scomparso tra un polpastrello e un investimento. resta lo smarrimento accelerato del nostro tempo (e a questo stancarsi mai collettivo, rispondo – individuo mio malgrado – con disciplina, alleata che allunga collezioni di frustrazioni e mi tiene in bilico su un affastellarsi di perché?

[burial – untrue]