ci vorrebbe solo lo spazio infinito delle infinite possibili narrazioni. uno spazio vuoto, come foglio bianco che apre a tutto, eppure. forse nasce da qui la mia difficoltà con la scrittura: nel suo concretizzarsi, nel suo avanzare, riduce anche il potenziale a una realtà sola (per di più fatta di parole: segni, limiti). allora è vero: non posso far altro che moltiplicare la scrittura in ogni direzione, in ogni spazio, lasciarla correre dietro i guizzi, le intuizioni, i brividi sotto pelle. è un tentativo disperato, disperato e inutile, ma è l’unica direzione percorribile. se è vero che la narrativa permette di esplorare tutte le possibili vite che questo spaziotempo non mi concede di vivere, anche la narrativa – come la vita – non basta. ci vorrebbero delle parole-materia che escano dallo spazio della scrittura per modificare il reale, fatto di oggetti corpi luoghi. parole che si e mi strappino da questa prevalenza (fal)logocentrica, parole la cui forza sia come riempita di magia: non solo evocare, ma creare. scrivo tazza e ho una tazza in mano. scrivo bosco e ci sto camminando in mezzo. scrivo una mia vita possibile e quella prende forma, diventa reale. un reale. e ancora, di nuovo. moltiplicare tutto, ostinatamente. provare tutte le strade. come se stessi programmando un gioco, una simulazione che però non è per finta, finzione. continuare a tentare. a scagliare parole-materia contro questa realtà che si vuole unica finché non riesco a mandare in crash il sistema, finché non apro una breccia nella ur-scrittura del mondo, codice genetico, struttura portante di tutto ciò che percepiamo nella nostra limitatezza. scrittura come sfondamento, ricerca del codice sorgente. scaturigine dell’inimmaginabile.