pensieri come rumori. impermanenti. inappartenenti: come all’orecchio così al cervello: separati (e, “amico, tutto ciò che separa è santo”). il rumore di un’auto che passa troppo veloce per queste strade strette, il pensiero che il mio fragile fare sia casuale, senza senso: né l’uno né l’altro sono (parte di) me. i miei timpani non trattengono il suono delle gomme sull’asfalto e del motore su di giri, le mie sinapsi non si attaccano al pensiero di questa assenza di senso. rumori e pensieri hanno, però, temporalità diverse. il suono segna lo scorrere dei secondi, dei minuti. il pensiero ritma ansie, interrogazioni. far cedere quell’epidermide finzionale che divide le percezioni: che i pensieri siano rumori, che lo siano davvero. che il mio cervello generi rumori e che l’auto che passa generi pensieri che, come la scatola di metallo e plastica che li genera, inizino da lontano appena percettibili aumentino di volume calino rarefacendosi fino a scomparire del tutto. far scomparire i pensieri come si quietano i rumori, meglio che: avvicinare questi segni convenzionali, inutili, in forma di parole. fonemi, non lessemi. non: dire l’esistenza. esistere (se questo è destino). di tutto questo – dell’esistere, delle reti nervose tra sinapsi e mondo – fare suono e solo suono, che segni il tempo solo per svanire.