micro-epifanie di assurdo mi scivolano addosso: lucido, a tratti mi sento sotto effetto psicotropo per questo frammentarsi del mio percepire: gli oggetti si svuotano di senso nel ribaltarsi sulla retina, come ci fosse un passaggio mancante nella trasmissione di informazione tra esterno e interno. restano lì, inerti, davanti al mio sbigottimento, come manufatti di una civiltà aliena di cui non posso espugnare il significato e il cui significante, involucro senza possibili interpretazioni, interroga il mio stesso guardare e, molto più in profondità, il vivere che si ostina, attraverso il mio corpo incarnato, in questi spazi che si colorano di insensatezza. come stare dentro un quadro astratto: come perdere l’equilibrio. come l’aria fresca, la pioggia, il cielo grigio all’inizio di agosto, ennesima estate di estremismi climatici che si fa specchio di un’assurdità radicale, sistemica: il nostro distruggere noi stessi individual-collettivamente e, con noi, il pianeta. percepisco tutto come il suo frammentarsi, elementi strutturali separati, che si sfaldano, come si svelassero nella loro essenza (che poi: esiste? è?) o nei loro trucchi per simularla. molecole, atomi, unità di trasmissione biologiche o culturali – geni e memi: si mostra la vacuità, aumenta il desiderio di non far parte di nulla: non di questa civiltà, non del genere umano, non di me stesso, a volte nemmeno della natura. eppure,