fermarsi, staccare: non dati. ma solo dati siamo, solo dati siamo, siamo solo dati. macinati a velocità follimacchiniche dall’accelerazione del profitto (sempre ristretto: non-nostro) che chiamano progresso. cerco il danno, il baco, l’intoppo: il sonno. (mi) desider(i)o improduttivo, sono costretto a questa catena cognitiva di montaggio, privilegiato (certo) ma in affanno. fatico: incespico: sempre sotto la soglia dell’esaurimento, appena. apnea. è un attimo: scrivo ma le sillabe s’inceppano, si scambiano di posto, le mie ditasinapsi sgretolano il lessico che perde il suo potere retorico e si fa vuoto cosmico: rappresentazione contingente dell’assurdo di questo presente. illogico drammatico che apre al panico ma non prende un senso. biopolitica merce di scambio: me stesso in autosfruttamento in cambio di un compenso o di un futuro che intravedo a stento. irriducibile alla datificazione mi dico: scompaio. ma non riesco, e non c’è rifiugio nell’onirico per questo correre ansiogeno e so che questo collassare psichico è collettivo eppure: il nostro dirci a frammenti digitali su schermi tattili non si fa flusso narrativo in cui ritrovarci: isolati operai di clic inutili, a sfogarci in studi di psicologi fino ai prossimi episodi critici che ci lasceranno ancora più sfibrati e instabili (a sognare data center avvolti da fiamme salvifiche per fermare le macchine e poter finalmente cedere e