#12. (alice al di là dello schermo)

t.s. eliot paragonava la lettura di testi lontani nel tempo (come quelli in sanscrito) allo stare da entrambe le parti di uno specchio. forse oggi alla metafora dello specchio, tanto usata in letteratura, dovremmo sostituire quella dello schermo. anche perché, ormai, abitiamo “un presente che convive con il passato sulla stessa linea temporale“. il tempo si è squassato, lo schermo dei nostri telefoni è più che specchio, anche se ne conserva alcune tracce: letterali, per truccarsi e pettinarsi, per guardare se la nostra faccia è presentabile; metaforiche, perché l’obiettivo delle nostre fotocamere digitali non inquadra più il mondo, ma noi stessi, come ci ricorda, tra gli altri, cotroneo. ed è vero, questo schermo che è più di uno specchio ci riflette, sì, ma rimanda a un’alterità ben più altra e forse inquietante di quella che vive alice, una volta che è passata di là da quella soglia fantastica. alice ha passato lo specchio: cosa succederebbe se alice passasse lo schermo? prenderebbe forse le sembianze di un volto di donna generato da una rete neurale in tutta la sua inquietudine? forse dovrebbero farci più paura le cose che succedono dietro lo schermo, impossibili al nostro sguardo, che quelle che succedono di là dallo specchio, pur con tutte le demoniache elaborazioni possibili.

ancora, su schermi e riflessi, si insiste sui possibili punti di rottura. se si crepa lo schermo, crepa anche la realtà che vi appare? un’alba nera fatta di luce impossibile filtra da queste crepe: dentro, la cognizione macchinica e i nostri timori distopici. realtà come riflesso di scrittura: scrivo cose che quasi non escono dalle cartelle sul mio computer eppure ritrovo nella realtà echi di quello che ho scritto, dei testi a cui sto lavorando. cosa sta succedendo? dov’è il glitch, il rovescio del mondo? qualcuno naviga nel mio computer e, attraverso questo dispositivo, forse sta navigando anche all’interno del mio cervello? il futuro coabita con il passato, i nostri sensi sono mandati in confusione.  “il panico dell’insetto”: scardinare l’umano. resto davanti a ciò che ci ostiniamo a chiamare reale: più passa il tempo, meno mi fido dei miei sensi e dei miei pensieri.