sono le nove e mezzo di sera a scicli e fa un freddo bestia, questo aprile avanzato che qui in mezzo al mediterraneo sa di balcani e fuga, cammino con una mezza bottiglia di bianco in borsa (ma è un rosso vinificato chiaro: niente è ciò che sembra), cerco sonno e schivo lavoro, polpacci ricamati da mordere, addentati con gli occhi e lasciati andare, come i video che scorrono su quella che era radio e ora è immagine in movimento, che mi ricordano che un tempo è passato e non credo più nei gesti, nell’esserci, nel partecipare, nell’unicità sentita di quel vivere giovane. eppure desidero, (on.di)vago, esorcizzo lo stancarsi del corpo e il disilludersi del pensiero, con un bicchiere, con una salita in bici, con banali pretese intellettuali che già avrebbero dovuto essere abbandonate. verbi, grammatiche: regole che diamo al mondo attraverso le parole, per domarlo, per domarci, sempre invano, a lanciarci contro i nostri limiti, come falene, inconsapevoli suicide.