#25. (di domande in forma di fuga)

della materialità concreta delle parole, del loro agire, del loro poter agire. di messaggi scritti su questo piccolo schermo che cercano futuri. di presenti fatti invece di spazi nuovi abitati per poco, in cui passare come l’acqua, prendere la forma del luogo che ospita e scivolare via, lasciando forse gocce appena percettibili: in una frase scambiata, in uno sguardo che insiste negli occhi poco più del consueto. di scalfitture minime ma non cicatrici e di dolori che spalancano l’oscurità della notte. di muscoli che si gonfiano, sangue ossigenato e potenza, acido lattico a stancare ma ancora, di nuovo, spingere, prendere velocità: corpo bagnato brillante di sudore. di richieste di aiuto, a volte espresse a volte lasciate sospese, nell’irrequietezza di un dialogo fatto di frammenti. di haribo masticate ridendo, di bicchieri perché ci sta, di sole che scotta tutto. di tanti giorni passati così, in movimento, pupille veloci (a scrutare intorno il possibile), palpebre stanche (di notti in cui il sonno non è mai abbastanza, delle cose da, del cervello e dei suoi impulsi elettrici che non sembrano conoscere fatica né freno). dello scarto tra realtà e irrealtà in forma di domanda e di questa domanda che, a sua volta, è in forma di fuga. e di questo parlare fitto che non dirada mai e mai il nostro fuggire.