leggere e rileggere mark fisher – l’intrecciarsi tra quello che succede intorno a noi e quello che succede dentro la nostra testa, il nostro corpo – la sua capacità di analizzare con lucidità, una lucidità vigile e disperata. ripenso a la mostra delle atrocità di ballard. la zona di contatto tra il nostro sistema nervoso e il sistema dei media digitali si è allargata, come un tumore, ha preso spazio, occupato funzioni vitali, distraendole, distraendoci. forse, presto, qualcuno da internet potrà accedere direttamente alle mie sinapsi, senza passare dall’approssimazione linguistica che sono queste parole scritte a schermo, lette a schermo: che cosa potrà dire di stare navigando? “mi sono connesso al cervello di manunkind”, forse dirà a chi le sta accanto, che non saprà chi è manunkind, e però qualcuno gli ha navigato nel cervello, un cervello – come quello di tutti gli esseri viventi – le cui terminazioni nervose collegano altri organi, di senso, di movimento, vitali. magari chi mi naviga il cervello può navigarmi lo sguardo, spostando l’attenzione delle mie pupille. oppure le mani e farmi scrivere altro su questa tastiera retroilluminata in questa stanza fredda e in penombra. oppure le gambe, a calciare rabbie nel vuoto o magari solo per divertirsi, per fare male al corpo di manunkind perché non ha nient’altro da fare. e come cambia il mio cervello dopo che un’altra persona ci ha navigato dentro? e se non è un’altra persona ma una macchina cognitiva, quella che continuiamo a chiamare, goffamente, intelligenza artificiale? parto spesso dalla stanchezza, dalle ombre che sembrano muoversi ai margini del mio campo visivo, ma quando giro la testa non c’è nulla: tracce di altre dimensioni? di altre percezioni? parto spesso da questo tempo sottratto, dalla dipendenza digitale, dal sovrapporsi di notifiche, dal lavoro dal lavoro dal lavoro, dal pensare ai piani b e c, che il piano a è sempre precario, ma bisogna pure guadagnare, e continuare a farlo. il tempo che si gioca sulle sperimentazioni, sui margini, è definito da quest’altro tempo che pervade, occupa, spossa. se la cultura è conservatrice, scrive fisher, è perché l’affitto adesso costa un sacco, vivere costa un sacco e tutto il tempo e tutte le energie vanno alla sopravvivenza: lo spazio per la creazione, per la sperimentazione è ridotto, divorato, sfibrato. e quando mancano l’arte, la creazione, la libertà di giocare con la cultura cercando strade nuove, l’umano si incupisce, si incattivisce, ridotto alla sua sola dimensione economica, che non è vivere. e vorrei che queste frasi fossero più concrete, solide, ma alla fine della giornata, che passa in scritture molto più strutturate, queste sono le linee che riesco a seguire: ipotesi, impossibilità, esplorazioni frammentarie. per riprendermi un pezzetto di tempo, anche così va bene, coltivando ombre, esplorando crepe.
[in ascolto: senyawa – alkisah]